di fronte al diritto

LE PRETENSIONI DI CAPO DI NOME E D’ARME DELLA REAL CASA D’ARAGONA
DI FRONTE AL DIRITTO

La qualità di “fons honorum” è stata riconosciuta a Don Francesco Mario II in due sentenze di due diverse corti di giustizia italiane: la Pretura di Bari (13.3.1952, n.40/51 RG.) e il Tribunale di Pistoia (Sezione Unica 5.6.1964).

Particolarmente significativa è quella parte della sentenza del Pretore di Bari, la quale recita:

I Paternò, il cui cognome fu originariamente Aragona di Ayerbe e di Paternoy, conservano molti diritti Jure sanguinis. Tra questi diritti è quello denominato fons honorum o facoltà nobiliare, di concedere e confermare stemmi, di accordare predicati dai luoghi su cui gli Avi esercitarono appunto i poteri sovrani, nonché il diritto di fondare, riesumare, e riformare, esercitare il gran magistero degli Ordini cavallereschi di collazione familiare, che si tramanda da padre in figlio come eredità insopprimibile

Quanto espresso dalla sentenza qui citata corrisponde ad un costante orientamento della giurisprudenza italiana, dai giudizi di Pretura a quelli della Suprema Corte di Cassazione (Roma, Pretura, Sez. VII del 10.9.1948; Catania, Pretura, 11.4.1960; Roma, Cassazione, III Sezione Penale, 11.7.1958; Roma, Cassazione, III Sezione Penale, 23.6.1959, e molte altre presso le Preture di Roma, Milano, Bari, Sant’Agata di Puglia, ecc.

Scrive il Prof. Emilio Furnò, Patrocinante in Cassazione (Studio sulla Legittimità degli Ordini equestri non-nazionali, Rivista Penale, n.1, Gennaio 1961, pp. 46-70):

Le sentenze, civili e penali, non sono poche, ma alcune recentissime, e tutte di regola ispirate all’accettazione dei principi tradizionali dianzi richiamati. Si muove dalla “nobiltà nativa” -Jure sanguinis- si pongono in evidenza le note prerogative Jus maiestatis e Jus honorum e si giunge all’affermazione che il titolare è “soggetto di diritto internazionale” con tutte le logiche conseguenze. Il Sovrano spodestato, cioè, può legittimamente conferire titoli nobiliari, con predicato o senza, e le onorificenze che rientrano nel suo patrimonio araldico, resta il Capo della sua Dinastia.Le qualità che fanno di un Sovrano spodestato un soggetto di diritto internazionale sono innegabili, continua il Prof. Furnò, esse infatti “costituiscono un diritto personale assoluto, di cui il soggetto non si spoglia mai e che prescinde da ratifiche o riconoscimento da parte di qualsiasi autorità preminente inter pares. E se, al fine di spiegare l’attuale permanenza di tale diritto, si parla di riconoscimento da parte di Sovrani Regnanti, Capi di Stato, il termine viene usato nel senso di “comportamento dichiarativo” e non di “atto costitutivo” del diritto stesso, (Furnò, op. cit). Un clamoroso esempio è dato dal fatto che per lungo tempo la Repubblica Popolare Cinese non fu riconosciuta e non fu quindi ammessa alle Nazioni Unite, ciò nonostante essa esercitò ugualmente i suoi poteri di Stato Sovrano attraverso i suoi organi interni ed esterni.
Le prerogative che stiamo esaminando ” si possono anche negare e lo Stato, nei limiti della propria influenza, può vietare al Sovrano spodestato l’esercizio di quel diritto così come può paralizzare qualsiasi altro diritto non portato dalla propria legislazione. Ma questo ‘atteggiamento’ negativo, non influisce sulla esistenza del diritto contrastato, bensì soltanto sul suo esercizio. (op.cit.)

E conclude l’illustre Autore:

riassumendo, dunque, la Magistratura Italiana, nei casi sottoposti al suo giudizio, ha confermato le prerogative jure sanguinis del Sovrano detronizzato, senza la debellatio, cui pertanto, viene esplicitamente riconosciuto il diritto di conferire i titoli nobiliari ed onorificenze appartenenti al suo patrimonio araldico dinastico. In particolare ha classificato le suddette onorificenze tra quelle degli Ordini equestri “non nazionali”, previsti dall’art.7 della legge 3.3.1951, che vieta a privati di conferire onorificenze. Quanto ai titoli nobiliari, pur essendone legittimo il conferimento, deve tuttavia essere osservato che essi non ricevono alcuna tutela dalla vigente legislazione italiana, la quale non riconosce più la nobiltà “dativa”, in ossequio al principio fissato dalla Costituzione della Repubblica. Cade, quindi, dalla legislazione italiana anche il concetto di usurpazione di titolo nobiliare.

Però la legittimità e validità del conferimento di un titolo nobiliare può ricevere il sostegno di un atto dichiarativo del Giudice (op. cit), come risulta dalla già mensionata sentenza del Pretore di Bari del 13.3.1952: lo Stato contro Umberto Zambrini. Lo studio del Prof. Furnò, può essere integrato da chi voglia approfondire la materia dei pertinenti studi dell’Avvocato G. Pensavalle de Cristoforo: “Questioni al vaglio della Magistratura”. (Secolo d’Italia, 28.2.1959) e del Prof. Renato de Francesco “La legittimità e validità in Italia degli Ordini cavallereschi non nazionali” (Roma 1959).

Il Giudice naturale, che in Italia è il Magistrato ordinato, anche per la materia nobiliare e cavalleresca, ha, dunque, individuato in Don Francesco Mario II Paternò Castello e Guttadauro, nonno dell’attuale Capo di Nome e d’Arme dalla Casa d’Aragona Don Francesco, la caratteristica di “soggetto di diritto internazionale” e, come tale, lo dichiara non punibile per infrazione dell’art. 7 della legge 3.3.1951, sulla base di un’ampia documentazione incardinata su:

  • Atti di Stato Civile.
  • Tavole Genealogiche da Oriol, conte d’Aragona (809) all’ultimo Pretendente e Capo d’Aragona.
  • Lettera della Procura del Re, Catania 18.5.1851.
  • Lettera di Giovanni Paternò Castello di Carcaci, Catania 20.5.1851.
  • Circolare dell’Intendente della Provincia di Catania, 30.3.1853.
  • Patto di Famiglia, Paternò, 14.6.1853.
  • Certificato della Real Commissione dei Titoli di Nobiltà, Napoli, 2.2.1860.
  • Decreto di Francesco II, Re delle Due Sicilie, Gaeta 16.9.1860.
  • Sentenza della Pretura di Bari, 3.3.1952.
  • Sentenza del Tribunale di Pistoia, 5.6.1964.
  • Sentenza del Tribunale Arbitrale Internazionale di Ragusa, 17.02.2003.

E su autorevoli pubblicazioni, talune delle quali edite in tempi non sospetti:

  • Francesco Paternò Castello “L’Ordine del Collare, Patrimonio della Serenissima Regal Casa Paternò”, Catania 1851.
  • Francesco Tornabene, “Elogio funebre di Francesco Paternò Castello, Duca di Carcaci”, Catania 1854:
  • Rivista Araldica, “Dall’origine regia aragonese dei Paternò di Sicilia”, Roma 1913 (pp. 330-335):
  • Rivista Araldica, “Case già sovrane di Stati italiani e famiglie nazionali derivate da esse o da dinasti stranieri”, Roma, 1922 (pp. 295- 346).
  • V. Spreti, “Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana”, Vol. V, Milano, 1932.
  • Libro d’Oro della Nobiltà Italiana”, 1920-1932, Roma.
  • Claudio Santippolito, “Dagli Aragona ai Paternò”, in “Il Ghibellino” n. IV-V, Dicembre 1960.
  • Labarre de Rellicourt, “Rois et Reines d’Espagne”, “Les Cahiers de l’Histoire”, n. 6 genn. 1961 (pp. 134-148).

Il lettore non superficiale si chiederà come mai tra tutte le linee della Casa Paternò, sia stata scelta una linea cadetta e segnatamente quella Paternò Castello e Guttadauro, Principi d’Emmanuel.

Ricordiamo che la scelta venne fatta mediante un’actio familiae in Palermo il 14.6.1853, alla quale intervennero tutti i Capi dei vari rami Paternò e sono noti i precedenti per cui una famiglia principesca o reale regola autonomamente le proprie leggi di successione.

Nel Patto di Famiglia, steso per rogito del notaio Gioacchino Accardi, è detto che Don Mario fu scelto come rappresentante delle regali pretensioni della Casa, perché era “il solo in cui il sangue reale aragonese circolava due volte”: come Paternò e come Guttadauro. A chi per superficialità obiettasse che la trasmissione delle pretensioni aragonesi avvenne, come quella del titolo di Principe d’Emmanuel, per linea femminile, va precisato che in Aragona non vigeva la Legge Salica, per cui essa si effettuava anche per linea femminile, e lo stesso vale per la Sicilia (Gt Galuppi, Stato presente della Nobiltà messinese, Milano 1881, p. 1-23) come si evince dalle Costituzioni in aliquibus del re Federico II, che ammette la successione per linea femminile (Costitutiones Regni Siciliae, liber. 3 tit 26). Che nel Regno delle Due Sicilie vigesse la Legge Salica è indiscutibile in linea generale, ma per ciò che riguarda la Sicilia, l’applicazione della Legge Salica era soggetta a tradizionali limitazioni, anche sotto la dinastia borbonica.. La controprova e data dal parere espresso dalla Real Commissione dei Titoli di Nobiltà (2.2.1860) e dallo stesso decreto di Francesco II delle Due Sicilie(16.9.1860), entrambi favorevoli alla trasmissione per linea femminile del titolo di Principe d’Emmanuel.

Le pretensione del Capo di Nome e d’Arme della Casa d’Aragona, in atto Don Francesco Paternò Castello di Carcaci, Principe d’Emmanuel e Duca di Perpignano nella qualità, si estrinsecano nell’esercizio di poteri sovrani.

E’ generalmente ammesso dal diritto nobiliare che il Capo di una dinastia già regnante, conservi jure sanguinis, cioè per diritto ereditario, la facoltà di conferire onori cavallereschi e nobiliari, detta jus honorum (come conferente egli è detto hons honorum, fonte di onori), conserva i suoi diritti sovrani indipendentemente da mutamenti politici e da considerazioni territoriali e tali diritti sono detti “di pretensione”, da cui il termine di Pretendente che indica chi li mantiene e/o esercita e li gode in perpetuo (cfr. Renato de Francesco, La Legittimità e Validità in Italia degli Ordini Cavallereschi “non nazionali”, Ed. Ferrari, Roma, p. 10).

Secondo il Salvioli (Storia del Diritto Italiano, Utet 1930, p. 272), la sovranità, quale elemento della potestà statuale, scaturì dalla lotta dei sovrani contro i feudatari e dovette il suo carattere di necessità, alla concentrazione dello Stato nelle mani del Monarca. “Nata da origini feudali, questa potestà, continuò a portare l’impronta, considerandosi essa quella proprietà personale del Principe; donde la sua trasmissibilità per diritto ereditario e la sua perpetuità”. Per questa teoria il Principe, logicamente, conserva sempre la sovranità anche quando non sia più regnante (Furno, op.cit.).

Poiché il Sovrano accentra in sé tutti i poteri, egli ha il comando politico, jus imperii, quello civile e militare, jus gladii, il diritto al rispetto e agli onori del rango jus maiestatis ed infine quello di premiare con onori e privilegi, jus honorum (G.B. Ugo, Bascape, Gorino-Causa, Nasalli Rocca, Zeininger & De Francesco).

Il Sovrano sia regnante che pretendente, non solo può conferire, in particolare gli Ordini di collazione dinastica, ma può crearne anche nuovi e ripristinare quegli Ordini che furono fondati dai suoi Avi (questo principio è confermato in Italia anche da sentenze della Suprema Corte di Cassazione), senza alcuna considerazione del fatto che, a causa di vicissitudini successorie e politiche, taluni di quegli Ordini, siano passati ad altre Dinastie.

Avendo i Paternò Ayerbe Aragona rivendicato la loro pretensione alle Corone Aragonesi, essi, secondo il loro buon diritto, non soltanto hanno restaurato l’Ordine del Collare, fondato secondo la tradizione nel secolo XIII dai Re di Majorca, e l’Ordine di San Salvatore d’Aragona (1859), fondato da Alfonso I nel 1118, ma hanno fondato anche ordini ex novo come l’Ordine della Real Corona Balearica (1861), il Real Ordine di Giacomo I d’Aragona (1970) e l’Ordine di San Giorgio e Doppia Corona.

Alla questione della sovranità è strettamente legata quella della “validità” degli Ordini cavallereschi non statuali; quelli cioè che non si configurano come Ordini di Stato (a regime monarchico o repubblicano che sia) o equiparati ad essi (come il S.M.O.M.).

La Legge italiana del 1953 ammette l’esistenza di Ordini non nazionali e li distingue da quelli Statuali, come conferiti da altri che non siano privati, enti o associazioni. Con l’eccezione del S.M.O.M., possiamo grosso modo unificare le due denominazioni e dire che gli Ordini non statuali sono nient’altro che Ordini non nazionali. Tra questi trascuriamo gli Ordini “capitolari” (che hanno un Gran Maestro elettivo) e ci interessiamo di quelli che hanno come fondatori dei Dinasti, che non siano regnanti.

Sempre secondo la summenzionata Legge tali Ordini sono legittimamente conferiti e pertanto validi.

E’ però una cosidetta “International Commission for Orders of Chivalry” nel suo Report (Edinburgh), 1978) che, mentre riconosce il principio di legittimità e della qualità di fons honorum del Sovrano non regnante, cerca di limitare il principio, definendo per “Casa Sovrana” una di quelle “whose sovereign rank was internationally recognized at the time of the Congress of Vienna in 1814 or later”, e cioè una di quelle il cui rango sovrano fu Internazionalmente riconosciuto al tempo del Congresso di Vienna del 1814 o dopo. La Commissione di cui sopra è nient’altro che un’associazione privata, composta da persona aventi una comune base ideologica e comuni interessi, l’una e gli altri, come vedremo, non sempre compatibili con il diritto nobiliare e cavalleresco.

Scrive, infatti, V: Powell-Smith (“The Criteria for Assessing the Validity of Orders of Chivalry”, in Nobilitas, Malta 1970)::

… Non c’è giustificazione legale o altra, per limitare in tal modo il rango sovrano. Lo status sovrano non può essere definito, per diritto nobiliare, facendo riferimento all’anno 1814 o ad altro qualsiasi anno. Il Congresso di Vienna non produsse che la sistemazione dell’Europa dopo le guerre napoleoniche e niente di più. Dopo il 1814 ci sono stati altri cambiamenti nella struttura dell’Europa (ed anche prima), come per esempio l’unificazione dell’Italia e la creazione dei regni balcanici. I sovrani di quei regni, che cessarono di esistere prima del Congresso di Vienna, agirono come fontes honorum durante il loro regno e continuarono ad esercitare diritti “sovrani” da allora in poi. Lo scopo del Congresso di Vienna fu quello di riorganizzare i confini territoriali degli Stati europei. Alcuni Stati, furono integrati in più vaste entità statuali, così, i loro Principi sovrani, avendo accettato volentieri una simile sistemazione, mantenevano i loro diritti principeschi, ma perdevano quelli territoriali.

I diritti di fontes honorum , non rappresentati al Congresso di Vienna (dato che essi non avevano interesse nelle decisioni che sarebbero state prese, lo scopo delle quali riguardava sistemazioni territoriali de facto) non potevano essere influenzati dalle decisioni del Congresso o da posteriori discussioni ex silentio sulla questione.

I diritti della Casa Paternò Ayerbe Aragona precedono il Congresso di Vienna di parecchi secoli e la questione dello status sovrano della Casa involve un esame della sua posizione legale e così abbiamo già fatto alla luce della giurisprudenza sulla materia, e sappiamo come la giurisprudenza italiana , in materia di diritto nobiliare e cavalleresco, faccia testo. Continua il citato Autore: “La dottrina nobiliare accorda a persona di discendenza sovrana (princeps natus) nobiltà nativa”; a questa qualità si lega al Capo di una Casa già regnante ed ai suoi discendenti per sempre (Arnone, Diritto nobiliare italiano, Milano 1935 p.189). Anche laddove una monarchia assoluta sia stata trasformata in monarchia costituzionale, come ad esempio nel Regno Unito, il Sovrano è fons honorum rispetto agli Ordini dinastici e di famiglia, e mantiene le sue prerogative nobilitanti. Si tratta di diritti puramente personali, perciò è necessario fare una distinzione, sia nel diritto costituzionale, che in quello nobiliare, tra il Sovrano nella sua qualità personale e la “Corona”(Sir Ivan de la Bere, The Queen’s Orders of Chivalry, London 1964). Una conseguenza di questa distinzione è che un sovrano spodestato, ed i suoi discendenti, conservano il diritto a conferire Ordini dinastici, ecc., e continuano a godere del Jus honorum e del Jus maiestatis. In altre parole, in assenza della debellatio, il Principe ed i suoi successori in titolo, conservano tutti i diritti e privilegi dinastici.

L’esempio storico abbastanza recente, riportato dell’Autore (cfr. The Armorial, Vol. III, p. 129) è quello di Don Jaime de Borbon y Battemberg, Duque de Anjou y Segovia, scomparso alcuni anni or sono, il quale con una lettera indirizzata al Capo di un Ramo dei Borbone, scriveva, precisando la sua posizione: “Caro Cugino, desidero far sapere a V.A.R. che la mia abdicazione al Trono di Spagna, non tocca in alcun modo i diritti e le prerogative che mi spettano nella mia qualità di Capo della Casa di Borbone. Questi sono trasmissibili, secondo le leggi ereditarie della mia famiglia, ai miei figli Luigi Alfonso e Carlo Gonzalo, nati dal mio legittimo matrimonio con Emanuela de Dampierre dei Duchi di San Lorenzo”. Per inciso, Don Jaime nella sua qualità di Aîné Salique era il Gran Maestro dell’Ordine del Toson d’Oro, che egli conferiva, come risulta da un documento in nostro possesso. Egli in una lettera indirizzata a Don Francesco Mario II, Principe d’Emmanuel, lo qualifica come “Cher Cousin”, attribuendogli il trattamento di Altezza Reale.

E’ chiaro come il concetto di sovranità abbia esplicazioni diverse nel caso in cui ci si riferisce alla sovranità di uno Stato moderno, oppure alla sovranità di un Pretendente. Generalmente parlando, la sovranità di uno Stato viene esercitata nell’ambito di un territorio, in un contesto internazionale, o su una popolazione (i sudditi di una monarchia assoluta o i cittadini di una repubblica democratica). Nel caso di un Pretendente, la sovranità non viene esercitata né nell’ambito di un territorio, né su una popolazione, né in un contesto internazionale.

L’assenza di un territorio non viene riconosciuta come determinante; il suo possesso è infatti soggetto a vicissitudini politiche, che non influiscono sul diritto e sulla legittimità delle pretensioni. Nel caso del Pretendente, al concetto di popolazione, si sostituisce quello di “sostenitori”: più persone che con mezzi vari sostengono la “causa” del Pretendente. Il contesto internazionale è soggetto a valutazioni politiche ed al relativo “comportamento dichiarativo” dei governi, i quali, in una mutata natura degli Stati (la “volontà popolare” ha sostituito il “diritto divino” dei Sovrani), no riconoscono le “pretensioni” di Case Sovrane già regnanti, se non quando esse rientrano nel perseguimento di ben precisi fini di politica internazionale.[2]

Si spiega come ormai da qualche secolo i moderni Stati non “riconoscano” né pretendenti, né Ordini cavallereschi non nazionali.

Ciò, nel caso di molti Ordini, o di Case Sovrane già regnanti, non vuol dire che siano ristrette in un limbo di pergamene e di orpelli veramente gratificanti. Titoli ed Ordini conferiti dal Capo di Nome e d’Arme della Real Casa d’Aragona, onorano alte personalità religiose, della diplomazia, politiche, della cultura e dell’arte, in ogni parte del mondo.

Istituzioni quale la “Real Aula Mallorquesa”, accademia culturale ed artistica, con delegazioni in vari paesi, oppure Ordini come il Militare Ordine del Collare di Sant’Agata dei Paternò con il suo Servizio Ospedaliero, svolgono una costante attività pro utilitate hominum ed a sostegno di alti ideali radicati nella nostra civiltà occidentale.

Impavidus pavidum firmo

References

  1. ^ Au siege de l’Ordre de la Rose d’Or, 13 Square Henry Pate, Paris. 22 novembre 1962: “A S.A. Don Francesco-Mario,
    Prince Paternó, Palermo,
    Mon Cousin,Je vous remercie de la bonne lettre que m’a remise, de votre part, l’aimable Marquise de la Maddalena. J’ai ete tres heureux de vous lire et suis touche des sentiments que vous avez bien voulu m’exprimer. Je vous prie, Cher Cousin, de recevoir en retour l’expression de mes bons et affectueux sentiments.Votre Cousin, JAIME, Infante de Espana, Duque de Segovia y Anjou

    Mon affectionne ami, Maitre Emile Seitz, d’Arcois Saint Andre, est charge de vous faire parvenir cette lettre.

  2. ^Noi Alfonso di Borbone, Conte di Caserta, per successione nei legittimi diritti del Nostro Augusto Fratello il Re Francesco II delle Due Sicilie, Gran Maestro del Real Ordine di Francesco I, Volendo dare una pubblica testimonianza della Nostra stima e benevolenza al Signor Don Francesco Mario Paternó Castello dei Duchi di Carcaci e Principe d’Emmanuel, Sovrano Gran Maestro dell’Ordine del Collare dei Paternó, erede legittimo del Principe Don Mario Paternó Castello e Guttadauro che tanta benevola distinzione ebbe dal Nostro Augusto Fratello il Re Francesco II e per mostrargli il conto in cui teniamo i suoi sentimenti di attacamento alla Nostra Reale Persona, abbiamo determinato di nominarlo, come col presente lo nominiamo Commendatore del Nostro Real Ordine di Francesco I. In fede di che abbiamo sottoscritto da Nostra Mano il presente Diploma munito del Sigillo delle Nostre Armi.Dato a Cannes, il di 15 maggio 1933(fto.) ALFONSO G.M.